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“VOLEVO FARE L’INSEGNANTE DI MATEMATICA… MA NON HO PIÙ POTUTO FARE A MENO DELLA MUSICA”: FRANCESCO CONSIGLIO INCONTRA IRENE VENEZIANO, BELLA COME LA VENERE DEL BOTTICELLI, BRAVISSIMA

Posted On Gennaio 18, 2019, 12:50 Pm

16 MINS

Quando penso al pianoforte, mi vengono in mente le parole di Heinrich Neuhaus, docente al Conservatorio di Mosca per più di quarant’anni: “Bisogna suonare il nostro splendido repertorio pianistico in modo tale che esso piaccia all’ascoltatore, che gli imponga di amare la vita con più forza, di sentire più fortemente, di desiderare più fortemente, di capire più a fondo”. Questo strumento, il più studiato in assoluto, possiede sonorità orchestrali così varie da evocare e affinare l’intera gamma dei sentimenti umani. Qualche anno fa, mentre scorrevo gli scaffali di una libreria, m’imbattei in un curioso volume dal titolo Curarsi con i libri: Rimedi letterari per ogni malanno. E subito pensai che se un libro può aiutarci a lenire i malesseri del corpo, un medicamento di note è la panacea in grado di scongiurare gravissimi patemi d’animo, trasformando un infelice in un uomo beato. Se non mi credete, miei cari lettori (adopero il plurale perché ho l’ambizione di credere che siate almeno in due), cliccate sul sito di Irene Veneziano, una giovane pianista dal bel viso rinascimentale, rossa di capelli come la Venere di Botticelli, e ascoltate una qualsiasi delle sue interpretazioni videoregistrate a Varsavia durante il 16th International Piano Competition Fryderyk Chopin. Ne uscirete estasiati e curiosi di conoscerla. Io l’ho incontrata e questo è il frutto della nostra conversazione.

L’attività pianistica richiede un esercizio giornaliero incessante e tanta dedizione per trovare il tempo da dedicare allo strumento. Diversi concertisti mi hanno raccontato di essere stati sottoposti, da studenti, a pressioni e sacrifici di ogni genere, tanto da dover rinunciare a vivere un’infanzia normale. Alcuni ce l’hanno fatta e conducono una vita felice, altri odiano il pianoforte e sono presi da moti di rabbia al pensiero delle ore passate controvoglia sulla tastiera. Tu appartieni indubbiamente alla categoria dei vincenti, però mi chiedo se hai mai avuto la sensazione di rinunciare a troppe cose per amore della musica.

Per mia grande fortuna, suonare il pianoforte è sempre stata esclusivamente una mia scelta. I miei genitori non sono musicisti e quando a nove anni espressi il desiderio di intraprendere lo studio del pianoforte me lo concessero volentieri, ma non fecero mai alcuna pressione. Inizialmente la musica era per me solo un piacevole passatempo e non avrei mai pensato che potesse diventare il mio lavoro: desideravo diventare un’insegnante di matematica! Avevo molta facilità, ma fino alla terza media non ho studiato più di mezz’ora al giorno e sempre per mia iniziativa. È per questo motivo che posso dire di aver vissuto un’infanzia meravigliosa, piena di giochi e libertà! Abitavo inoltre in un posto molto tranquillo, con un grande prato davanti casa e una quindicina di bambini quasi coetanei con cui ho passato indimenticabili momenti. Durante gli anni del Liceo Scientifico ho cominciato a sentire il peso di svolgere un’altra attività contemporaneamente alla scuola, a cui peraltro tenevo moltissimo; tuttavia è in questa fase che la mia passione per la musica si è talmente intensificata da non poterne più fare a meno. Certamente in seguito ho dovuto fare delle scelte e dei sacrifici, ma la mia serenità attuale deriva proprio dal fatto che ho portato avanti lo studio con gradualità e che il tutto è stato frutto di una mia personale decisione.

Parlando di un uomo dal grande spirito, Arthur Schopenauer lo paragonò a un pianoforte: “Allo stesso modo del pianoforte, anch’egli non rientra nella sinfonia, ed è adatto per l’assolo e la solitudine. Se deve collaborare con altri, lo farà soltanto come voce principale che dev’essere accompagnata, oppure per dare la tonalità, nella musica vocale, allo stesso modo del pianoforte”. A volte penso che la mente di un pianista possa essere il terreno di lotta di opposti sentimenti: l’orgoglio di essere sempre al centro dell’attenzione e la paura di non potersi nascondere tra gli orchestrali. 

Il pianoforte è uno strumento veramente completo. È adatto per esibizioni solistiche, ma anche, avendo grandi possibilità dinamiche ed essendo strumento polifonico, si presta sia al ruolo di accompagnatore in ensemble cameristici che a quello di solista con orchestra. Chi suona come solista possiede generalmente un carattere forte, o almeno una certa dose di narcisismo che gli permette di affrontare il complicatissimo stato emozionale di compiere una difficile e delicata attività da solo su un palco. Tuttavia la differenza tra i vari pianisti è determinata dalla singola personalità di ognuno. Chi non se la sente di mettersi ogni volta così a nudo e così alla prova, si può dedicare esclusivamente all’attività di accompagnatore. Per quanto riguarda me, non posso negare che mi piaccia essere al centro dell’attenzione e ho molta soddisfazione quando mi esibisco da solista.  Ma nonostante abbia un carattere sicuro che mi permette di affrontare quasi sempre il palco con una certa serenità (ma una serenità sofferta e ottenuta attraverso un grande lavoro personale di introspezione psicologica), io adoro anche essere ‘al servizio’ di altri musicisti. Addirittura, al contrario di molti altri pianisti, amo anche accompagnare pezzi in cui ho un ruolo di esclusivo sostegno. Sentire che chi suona con me si sente libero di esprimersi con la fiducia che io possa sempre intuire le sue intenzioni e le sue sonorità, dialogare giocando su dinamiche e fraseggi in maniera estemporanea è qualcosa che mi dà una gioia unica e indescrivibile.

In un’intervista al mensile “Suonare news”, hai dichiarato che il pianista introverso che non ha contatti col mondo reale non è più attuale. Conoscendo la società in cui viviamo, sempre più determinata dalle giuste relazioni in ambito professionale, non posso che darti ragione. Eppure, rimpiango il genio romantico dei folli, personaggi introversi e asociali ma capace di sfornare immortali capolavori in tutte le arti. Cosa sarebbe la filosofia senza Nietzsche, la pittura senza Van Gogh, il teatro senza Artaud, la musica senza le allucinazioni sonore di Robert Schumann, internato nel manicomio di Endenich? 

Certamente! Tuttavia credo che per loro essere introversi o anche asociali non sottintendesse che non facessero nulla per diffondere le loro opere. Anche se a quel tempo non avevano Internet o YouTube, un personaggio come Schumann aveva infiniti contatti con altri musicisti, occasioni di incontro e scambio, per non parlare del fatto che nel caso specifico questo compositore diffondeva anche le sue idee musicali scrivendo in importanti riviste culturali. Inoltre, il ‘creatore’ può anche permettersi di stare chiuso in una stanza a comporre senza avere contatti con il mondo, anche se poi dovrà pur mostrare la sua opera a qualcuno perché possa essere apprezzata e possa diffondersi. L’interprete invece ha la necessità di farsi conoscere, perché può anche essere geniale e suonare in maniera unica, ma se sta chiuso nella sua stanza nessuno ne può essere al corrente: lui non potrà lavorare quanto merita e il mondo si perderà l’occasione di poter godere della sua interpretazione.

La tua vita pianistica è stata positivamente segnata dall’incontro con Sergio Perticaroli, professore emerito dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Puoi raccontarmi qualche aneddoto sui vostri incontri? 

La figura del M° Perticaroli è stata una svolta per la mia vita pianistica. Ho incontrato il Maestro in un concorso pianistico a cui avevo partecipato e in cui uno dei premi era la frequenza di una sua masterclass estiva a Salisburgo. Mi ricordo che assistevo a tutte le sue lezioni come incantata e così provai l’ammissione all’Accademia di Santa Cecilia di Roma. I tre anni trascorsi in Accademia furono illuminanti: il Maestro mi aveva aperto un mondo di nuove fondamentali informazioni tecniche e musicali. Furono anni molto duri: non solo per i viaggi, ma anche perché nel frattempo stavo frequentando contemporaneamente il Biennio e il corso di Didattica al Conservatorio di Milano e il corso di musica da camera all’Accademia di Imola. Inoltre con il Maestro avevo una perenne sensazione di essere inadeguata e di non riuscire ad applicare i nuovi principi che mi insegnava nella loro interezza. Solo negli anni a seguire ho sentito che i suoi insegnamenti erano sedimentati e sono riuscita davvero a interiorizzarli e renderli miei. Il Maestro Perticaroli ha continuato e continua tutt’oggi a insegnarmi molto, perché ogni volta che ho uno spartito davanti non posso che immaginarmi costantemente cosa potrebbe consigliarmi riguardo all’esecuzione dei pezzi che sto studiando. Una caratteristica che mi ha sempre stupito del Maestro Perticaroli e che trovo un pregio riservato solo a pochi docenti è la capacità di non imporre la sua visione musicale, il rispetto assoluto della personalità di chiunque stesse suonando davanti a lui: l’interpretazione doveva essere coerente, convincente, ma all’interno della visione personale dell’allievo. Ho conosciuto il Maestro in un momento della sua vita in cui aveva già smesso da diverso tempo di suonare in pubblico. Nonostante ciò, l’immagine dei suoi esempi al pianoforte rimangono impressi, quasi incisi nella mia memoria, con incredibile forza, vita e intensità. È capitato diverse volte che sia riuscito a strapparmi delle lacrime di commozione per la bellezza del suono e del suo canto: esso fuoriusciva dal pianoforte come una voce umana piena d’amore che scaturiva direttamente dalla sincerità del suo sentimento. Anche se non abbiamo mai avuto una particolare confidenza, più che altro per il rispetto e la soggezione che ho sempre provato nei suoi confronti, mi sento legatissima a lui come maestro e come persona, e non esagero a dire che è stato una delle presenze più importanti nella mia vita.

Molti giovani musicisti, dopo essersi diplomati in Italia, si trasferiscono all’estero per perfezionarsi. C’è chi vede questi viaggi come un simbolo di libertà e di apertura al mondo, ma per altri sono il segno del decadimento dei conservatori e della fine di una tradizione che inventò l’opera lirica e impose la propria lingua negli spartiti. È così raro che uno straniero venga in Italia a proseguire i suoi studi! 

Purtroppo sono vere entrambe le cose. Molti giovani vanno a studiare all’estero per avere una bella esperienza di crescita e di scambio, che potrebbe inoltre aprire nuove strade, oltre che fornire un titolo di prestigio. Tuttavia numerosi musicisti si spostano anche perché non trovano in Italia uno sbocco lavorativo e si lanciano in esperienze in altri Paesi sperando di essere riconosciuti e rispettati come musicisti. In realtà ogni volta che vado all’estero per concerti mi accorgo che la visione dell’Italia da parte degli stranieri è ancora la stessa: la terra della musica e dell’opera (oltre che della buona cucina e della moda!). Ma questa visione ha vita molto breve: chi viene a studiare in Italia (soprattutto cantanti) pensando di trovare un mondo paradisiaco di musica e arte rimane deluso, perché spesso trova condizioni molto più difficili che nel proprio Paese, ma soprattutto trova un atteggiamento generale di indifferenza, ignoranza e mancanza di rispetto verso la musica e i musicisti. Gli italiani, e prima di tutto i nostri politici che avrebbero i mezzi e la responsabilità per migliorare le cose, non si rendono conto della ricchezza che abbiamo e che potrebbe derivare dalla valorizzazione di ciò che faceva così parte della cultura del nostro Paese e che purtroppo sembra destinato a scomparire.

Infine, la più classica e inevitabile delle domande: progetti per il futuro? 

Il primo progetto del 2019 è la registrazione del mio ultimo programma, composto da brani che esprimono il collegamento tra musica e pittura, di cui la colonna portante è rappresentata dai Quadri di un’esposizione di Modest Petrovič Musorgskij. Sono appena tornata dalla Cina e per l’anno prossimo ho in programma alcuni concerti sia solistici che cameristici in tutta Italia e all’estero. Inoltre l’insegnamento è diventato ultimamente una parte molto importante della mia attività: oltre che le lezioni al Conservatorio, ho in programma molte masterclass sia in Italia (Cremona, Pescara, Latisana, Santa Margherita Ligure, Sciacca, San Benedetto del Tronto) che all’estero (Norvegia).

Francesco Consiglio