Irene Veneziano, che Chopin! (30-09-2011)

Irene Veneziano inaugura nel segno di Chopin la XX stagione di concerti al Politecnico di Torino

“Festoso e affollatissimo concerto (molti i giovani seduti a terra,) per l’inaugurazione della XX edizione di Polincontri Classica: presso l’Aula Magna ‘Agnelli’ del Politecnico di Torino.
Alla tastiera dello Steinway gran coda dal suono corposo la giovane e già affermata Irene Veneziano: un palmarès di tutto rispetto, ad onta dell’età, vincitrice in una trentina di concorsi pianistici, semifinalista al prestigioso ‘Chopin’ di Varsavia edizione 2010, secondo premio al B&B newyorchese del 2009, una filza di applauditi concerti in blasonate sedi, dalla parigina Salle Cortot al Menuhin Festival di Gastaad, da Ginevra a Los Angeles alla Scala dove ha debuttato nel 2011. La Veneziano non è semplicemente una pur valida pianista dalla tecnica solida e dalla indubbia sensibilità come molte se ne trovano oggidì, bensì una musicista a 360 gradi, colta e raffinata ed ha le carte in regola per confermarsi in brevissimo tempo un’artista di primo piano a livello internazionale. Al Politecnico erano elevate le attese per il suo recital che, oltre ad aver aperto la stagione dei festeggiamenti per i primi due decenni di programmazione, nel contempo concludeva il ciclo ‘Chopin’ avviato in concomitanza con le celebrazioni per il 200° e dunque ‘spalmato’ su due annate.

Che si sarebbe trattato di un concerto foriero di emozioni lo si è compresso fin dall’attacco del >vasto «Studio op. 25 n° 7». La Veneziano, nonostante il fisico minuto, sfodera un suono energico, robusto e generoso, dove occorre, quasi orchestrale, verrebbe da dire ‘virile’: sa infatti sfruttare al meglio la caduta del peso sulla tastiera, con grande tecnica e soverchio controllo, ma al tempo stesso regala non comuni preziosità di tocco. Per dire: il bel cantabile da violoncello nello «Studio» lo abbiamo molto ammirato. Qualche asprezza, è pur vero, qua e là andava emergendo nell’impervia «Polacca op. 44», ma sono dettagli. Ciò che colpisce nella sua interpretazione di Chopin sono innanzitutto il senso della forma, l’intelligenza nel sottolineare concatenazioni armoniche per così dire ‘analogiche’, spesso di geniale modernità, e ancora la sapiente pedalizzazione, l’appropriatezza stilistica e molto altro. Uno Chopin senza concessione alcuna alle sdolcinature – il suo – uno Chopin coerente e incisivo. Da rimarcare poi la capacità di tener desta l’attenzione anche in brani di non facile ‘tenuta’ per il pubblico (è il caso del pur soave, ma prolisso, «Notturno op. 15 n°1»).

Nella (celeberrima) «Ballata op. 23 in sol minore» tanti e di tal fatta sono i riferimenti interpretativi che i puristi (anche di fronte a sommi esecutori) si sa, hanno sempre qualche riserva e qualcosa da dire con la puzzetta sotto il naso: «non abbastanza grandiosa la parte epica», «non sufficientemente macerato il cantabile», e poi il finale, Santo Dio, che dev’essere ineluttabile, ma non manierato» e via elencando. A noi la «Ballata in sol» di Irene Veneziano è parsa oltremodo convincente; certo tutto è perfettibile, ma a onor del vero raramente abbiamo ascoltato esecuzioni così coinvolgenti: tutto calibrato, nulla di scomposto o sopra le righe, una capacità rara di ‘cattura’ emotiva, e poi l’eroismo chopiniano ben in luce e così il senso dell’epos, la leggerezza perlacea di certi passi, grazie a pregevoli fraseggi e bel tocco. E poi, merita sottolinearlo dacché è merce rara, Irene Veneziano è una pianista che respira: non ha paura di indugiare e lasciare assaporare le frasi, senza peraltro concedersi le eccentriche, capziose e ruffianesche libertà di troppi ancorché iper osannati pianisti oggi in circolazione, ai quali occorrerebbe invero togliere la licenza di avvicinarsi alla tastiera. (..)

E il pubblico non voleva saperne di andarsene. Sorridente e (in apparenza) per nulla affaticata, la Veneziano ha regalato ancora due bis: la virtuosistica (e un po’ bislacca) «Toccata» di Saint-Saëns che è poi il «Sesto Studio op. 111», verboso, insulso e talora fin irritante, ma lei lo suona benissimo, ammaliando (andarla a vedere su Youtube) e sembra perfino un pezzo accettabile, e da ultimo la delicata «Fille aux cheveux de lin» di Debussy dagli arcaismi diafani: per congedarsi con un sorriso ed un tocco di delicata femminilità imbevuta di spleen.”

http://www.ilcorrieremusicale.it/2011/09/30/irene-veneziano-che-chopin/

di Attilio PIOVANO